martedì 6 marzo 2012

Volo

Come aeroplanino di carta faccio veramente schifo. Robertino un c’ha inteso una sega su come piegare il foglio di carta. Mi son venute due alette a bischero con i diruttori di flussi dalle dimensioni ridicole. Se non sapete cosa sono i diruttori, cavoli vostri. I miei sono il fatto che non volo. Cosa certa. Senza dubbio.
Devo dire che l’impegno c’è stato, ho persino la coda lunga come pezzo aggiunto a posteriori. Ma a che serve l’impegno se non volo? Se non riesco a tracciare traiettorie casuali nell’aria?
Robertino mi guarda, mi scruta, mi rigira con quelle sue manine allegre e soddisfatto dice a se stesso “proprio ganzo!” come avesse fatto chissà quale miracolo meccanico. Ma mi hai visto bene??? Son tutto squilibrato, maremma miseria…
In più è una bellissima giornata, di quelle senza un alito di vento. Mi sarebbe servito per essere portato via di forza, in maniera che nessuno potesse accorgersi delle mie imperfezioni, invece così andrò subito per terra facendo una figura di cacca di dimensioni mitologiche.
Ohi, mi pare che Robertino abbia intenzioni parecchio preoccupanti. Quelle di lanciarmi, intendo. Ecco che si volge verso il laghetto del parco e già preventivo la mia triste fine in quell’acqua così putrida che anche i pesci rossi sono entrati in sciopero. Sarà un assorbire lento fino a sciogliersi in quell’acido mortale.
Perché? Perché mi vuoi lanciare??? Urlo senza essere sentito. D’altronde come fa un bambino a sentirmi…
La mano, il gomito e la spalla destra di Robertino accennano il lancio. I suoi occhi si illuminano come sempre accade per uno di quell’età quando sta per fare una impresa eroica.
Lancia, senza pensarci, senza chiedermi niente, né permesso, né altro.
Mi allontano e sento male, come fosse stato uno strappo doloroso staccarsi da quella manina. Lo guardo e noto la sua sorpresa. Poi non posso che notare la mia.
Nessuna traiettoria sbagliata, nessuna linea di volo verso terra. Sembro sospeso sul piano invisibile dell’aria e viaggio verso l’orizzonte. Che emozione, non ci credo, non posso ancora credere che io stia volando. Mamma mia, ho fatto una giravolta! Il mondo al rovescio e poi di nuovo dritto…
Vai!!! Urla Robertino e allora mi sento più forte, mi sento meraviglioso e, seppure sia solo illusione, traccio il percorso divino verso l’assoluto.
È bello. Oltre ogni misura. Ma ogni volo finisce, come il mio. Atterro.
Una carrozzina ospita una bambina di uno o due anni, non so. Finisco la mia impresa appoggiandomi sul petto della piccola. Le sue manine grassocce mi prendono curiose e mi portano vicino a i suoi occhi. Mi guarda. Ha una espressione gioiosa e subito inizia a ridere. Comincia ad agitare le braccia e io con loro.  Mi sbatte a destra e a sinistra come a dire “Guardate questa meraviglia!”
Io posso solo godere della sua emozione fino a che, senza capire l’atto, mi prende con due mani e mi spezza in due.
Si mette a piangere, la piccola, e inizia la sua danza di disperazione per la mia dipartita.
Vorrei dirle di non versare più lacrime, io sono felice di aver volato e di averti fatto ridere. Ho fatto ciò per cui sono nato.
Il volo più bello.

venerdì 10 febbraio 2012

Giardino




Con le enormi forbici sorrette a fatica con la mano destra osservava controluce la linea della siepe. Soddisfatto per la perfetta squadratura che aveva operato sulla pianta che correva lungo il perimetro del giardino, si girò verso Chiara. “Sono un fenomeno!” le disse sorridendo. Sudato intinto per le quattro ore necessarie a finire quel lavoro, si avvicinò al tavolino tondo in plastica bianca dove si trovavano due sedie,  una bottiglia d’acqua fresca e due bicchieri in plastica. Si mise seduto, si versò un po’ d’acqua e bevve lentamente con gusto.

Poi mise la mano su quella di Chiara. “Fidati, è venuta perfetta…” le disse senza troppa convinzione. Lei sorrise e rispose “Ti conosco bene, non ne fai una a modo… ma il profumo che si è liberato nel tagliarla è così buono!”

“Ah, sì? …. Ehm, me lo racconti?”

“Sai bene che le parole non mi vengono bene.”

“So bene il contrario. Me lo vuoi dire o no?” le disse impaziente.

“Non credo di riuscirci, ma posso tentare. Però devi aprire ogni tuo senso per capire.”

“Te non incaricarti delle mie capacità. Parla!”

“Scorbutico come un cinghiale inferocito.”

“Questa l’ho capita! Vedi? Buon segno… inizia, dai, raccontami questo profumo…”

“E’ talmente buono che colora i miei pensieri. E non ha il verde che tu sai conosco, né il marrone dei fusti della siepe. Neppure il giallo del sole che oggi sta bruciando la mia pelle. Ha il trasparente di un vetro fatto di nebbia che mi si avvicina piano e mi chiede di entrarci dentro. Farlo inebria i pori della mia pelle di un fresco che giunge al mio cuore e, con la dolcezza che solo una madre sa regalare al proprio bambino, mi apre gli occhi. Ti vedo, vedo te fatto di verde e di marrone e di giallo come ogni cosa che hai toccato e non sei ridicolo, seppur si possa pensare. Sei fatto di tocchi leggeri di pennello, prendi forma con i piccoli gesti e di questi ti colori. Per dirti che se ho perso un senso, ne ho acquistato un altro: dall’olfatto, come dall’udito, ogni cosa che ti riguarda si fa ricordo presente. Ma forse è davvero complicato spiegarlo.”

“Mi garba ascoltarti…” le disse ammirato, ma comprese che forse lei si aspettava qualcosa di più come commento.

Allora con un colpetto leggero delle enormi forbici tagliò l’unica rosa del giardino. Poi, pensando che d’altronde a cosa serviva quel fiore se non per quello, glielo donò.

Attenta a bucarti, lui pensò.

Non preoccuparti, gli rispose. 

giovedì 9 febbraio 2012


è tutto sbagliato, è tutto da rifare.
Andava in bicicletta, non studiava sui libri. Pedalava da fare paura e sudava come una bestia, non insegnava filosofia. 
Eppure ha detto una verità dolorosa che accompagna l'intima essenza di noi esseri umani.
E' tutto sbagliato, è tutto da rifare. Se qualcuno vuol pensare al lato etico, alla politica o alla religione come dargli torto?
Io invece penso a ciò che smuove il mondo, al senso dell'amore e alla nostra incapacità di sostenerlo.

E' tutto sbagliato, è tutto da rifare.

martedì 7 febbraio 2012

Il mio collega Alessandro ha il viso strano. Due occhioni azzurri in un viso a bischero che ha il sapore del bonaccione. Secco come un albero disidratato, ho scoperto che vola per aria come un passerotto e tira dei colpi che ti divide in due. Cinturanera di sò una sega che disciplina vietnamita ho scoperto che potrei portarmelo dietro per andare a vedere la Fiorentina contro la Roma e urlare invettive contro gli avversari stando seduto tra gli ultras romani.
Ma è anche uno che legge i miei scritti e lo fa senza il coraggio di dirmi che fanno cagare. Mi vuole bene. Mi vuole anche male, però. Nel senso che ieri mi ha detto di smettere con i racconti e di scrivere un bel romanzo, che l'ultimo lo aveva preso tanto.
Mi vuole male, sì, perchè ci ho creduto.
E lo faccio.

sabato 4 febbraio 2012

Giuseppe


Il diabete rende la vita complicata.


Chi se lo porta dietro ha un fratello siamese direi indesiderato.


Giuseppe ogni mattina non sa come si alza. Bene o male, senza che possa deciderlo lui. Ci sono numeri che gli dicono perché barcolla o perché si sente un leone, seppur siano troppe di più le volte nel primo caso.


Numeri che sbalzano da 50 a 600 con grande disinvoltura.


Ma se parlo del mio collega Giuseppe, nome vero come lo è il suo caso, non sta tanto nel piangere sulla sua malattia quanto per la meraviglia che dona a chi come me osserva la sua capacità di affrontare la situazione.


Sempre allegro, battuta pronta, il primo a muoversi per darti una mano, vitale, vitalissimo anche quando nonostante l’insulina si ritrova a essere un cencio o persino ricoverato d’urgenza.


Raccontarsi senza lamentarsi è un dono di Dio e, anche se non credo lui sia particolarmente credente, lui lo fa con grande naturalezza.


Oggi mi ha regalato il suo tempo per aiutarmi a risolvere un piccolo problema casalingo, s’è quasi fatto in due per me. Si comprende bene che lo farebbe per chiunque. Mentre eravamo insieme lo guardavo e pensavo come sarebbe il mondo se non dico tutti, ma almeno molti più di quanti lo sono adesso, fossero come lui.


Non gli ho chiesto a quanto aveva il diabete e lui non me lo ha detto. Ci siamo sorrisi come sempre e gli ho detto grazie.





Era solo per lasciargli scritto che lo stimo.

venerdì 3 febbraio 2012

l'appartamento di fronte

I muri delle nuove costruzioni sono così fini che si sente uno che scureggia a tre appartamenti a distanza. Dicono sia per rispettare la legge antisismica. A me pare più per risparmiare sui materiali, ma voglio essere ottimista e credere che nessun terremoto possa buttare giù casa mia. Resta il fatto che scendere le scale del palazzo dove abito apre l'udito ai mille movimenti dei condòmini. Li senti rigovernare, brontolare i figlioli, sospirare ardentemente, litigare furibondi. Tutte cose che fanno parte anche dei miei giorni e quindi m'interessano pari allo zero.
O almeno quasi sempre. Oggi per esempio è stato un pò diverso, come una sorpresa, una scoperta.
Quando ho aperto la porta per uscire e andare a lavoro, dall'appartamento di fronte ho udito risa di bambini, cosa che mi ha lasciato un pò perplesso. Perchè, è bene lo sappiate, da due mesi il padre dei due piccoli se n'è andato lasciando, come diceva mia nonna, baracca e chiccheri... insomma casa, moglie e prole.
Al primo scalino, che ho sceso lentissimo, mi domandavo chi facesse ridere i bambini. Al secondo, percorso ancor più piano, ho riconosciuto la voce del padre. Al terzo volevo fermarmi, ma forse davo troppo nell'occhio e ho continuato ascoltando. Diciassette scalini, quelli per arrivare al pianoterra, discesi in tre minuti che faceva prima la schifosa lumaca che ieri ha mangiato mio cognato se fosse sopravvissuta al raffinato appetito del mio parente. Tre minuti in cui mi sono domandato perchè in nove anni non l'ho mai sentito scambiare allegria con i figli come oggi pomeriggio.
Sono montato in macchina e mi sono chiesto perchè il destino vuol farmi credere che certi distacchi sono migliori delle forzate convivenze.
E seppur ci creda, al destino intendo, resto di opinione diversa.
Essere genitore ha un gran pregio: ti fa sentire inadeguato, impreparato, intimorito, impaurito, indeciso, incompetente e chi più ne ha più ne metta, ma allo stesso tempo ti impone di essere quanto più possibile il contrario di tutto questo.
Bella la forza che ti regala l'Amore per i figli, che d'improvviso ti fa vedere superabili ostacoli altissimi e apparentemente impossibili.
Qualche giorno fa ho abbandonato FB, che non scrivo neppure per esteso tanto tutti quelli che leggono qui sanno perfettamente cos'è e a me da un pò noia persino nominarlo. A essere sincero ci passavo un pò del mio tempo tra la sensazione del non poterne fare a meno e quella dello spreco inutile del mio tempo. Ma non ce la facevo a chiudere il mio profilo.
E' accaduto che mia figlia è stata colta da un attacco di panico e da un pianto ininterrotto mentre stava collegata con i suoi "amici", tra virgolette.
L'adolescenza è una età terribile e voi che ci dovrete passare come genitori cogliete qui quello che può servirvi. Ho abbracciato mia figlia cercando di calmarla mentre singhiozzava e mi urlava "Vai via!!!".
La faccio breve: i colloqui in chat sono devastanti, l'ironia, lo scherzo, i toni, i significati sono facilmente distorti dai riceventi. Forse meno dagli adulti (e ripeto forse), ma i ragazzini di 15 anni hanno una visione delle cose molto fragile e condizionabile. Mia figlia aveva avuto una serie di scambi letterari che l'avevano portata a fraintendere l'atteggiamento di amici e amiche nei quali credeva e che d'improvviso le sono sembrati  nemici.
C'è voluto del tempo per calmarla e per spiegarle che i mezzi virtuali distorgono la realtà e dipingono il mondo nei colori più brutti che sono dentro di noi. Subito dopo ho deciso la mossa della disperazione e le ho detto che dovevamo cancellarci e io lo avrei fatto per primo.
Risultato: io su FB non ci sono più, lei invece si. Ma ci va molto meno e ha cominciato a sentirsi via telefono che state certi è molto più salutare.


Perchè tutto questo? Perchè oggi mi è arrivata questa notizia:




" Facebook rende tristi, perché le persone osservando lo stato degli altri contatti si sentono sempre più inadeguate e infelici, ma secondo un recente studio il popolare social network creerebbe anche una certa dipendenza superiore a quella che generano alcool e fumo. La ricerca è stata condotta dai ricercatori della University Of Chicago Booth School Of Business ed è stato  pubblicato su Psychological Science.
Sono stati sottoposti allo studio 205 soggetti adulti, che sono stati monitorati grazie ad un dispositivo elettronico capace di intercettare i pensieri e i desideri di coloro che lo indossano. I risultati sono stati sconcertanti, infatti è emerso che la voglia di non collegarsi al social network è difficile da controllare più che rinunciare a un secondo bicchiere di vino e che le attività più desiderate nel corso della giornata sono risultate fare sesso e dormire.
La ricerca è stata condotta dal dottor Wilhelm Hofmann, il quale riferisce che la voglia di dormire segnala che nella totalità dei casi le persone non riescono a mantenere un giusto equilibrio tra lavoro e riposo. Il caso della dipendenza da Facebook era già stato segnalato nel 2008, infatti proprio in quel periodo si è iniziato a parlare di Social Network addiction, ossia una sorta di dipendenza da connessione che spinge l’utente ad aggiornare e controllare costantemente la sua pagina profilo e che va curata come qualsiasi altra forma di dipendenza."


Per dire...